Un nuovo folle social game per i teenagers: il
“Neknomination”
«Filmarsi mentre si beve un gran quantitativo d’alcool in breve tempo e pubblicare il video, ecco la nuova moda dei nostri ragazzi.»
di: Giusy di Filippo
Prende il nome dal “collo della bottiglia” il nuovo social game che sta spopolando tra i giovanissimi e che spaventa tanto gli adulti, il neknomination può a tutti gli effetti essere considerato una folle moda che, nata appena il 6 Gennaio scorso in Australia, sta velocemente prendendo piede tra i teenagers di tutto il mondo. Questo disperato gioco si basa su poche semplici regole che, anche se non palesemente imposte, risultano tacitamente condivise da un gran numero di adolescenti. Ricevere una nomina comporta il filmarsi mentre ci si “attacca alla bottiglia”, bevendo nel minor tempo possibile il maggior quantitativo di alcool, dopodiché si posta in internet il video della bravata e si nomina a propria volta un amico chiamato a mettere in atto una prova ancora più estrema. Per contro rifiutare una nomina comporta il disprezzo e l’umiliazione da parte dei propri amici e di conseguenza l’emarginazione dal gruppo, reazione che terrorizzerebbe qualsiasi adolescente. Risulta, quindi, palese come questo gioco si intrecci con tutta una serie di dinamiche relazionali proprie dei rapporti tra pari, che induce ad accettare sfide assurde e talvolta mortali al solo scopo di continuare ad essere apprezzati e considerati. A spaventare maggiormente, poi, sono le conseguenze di tutto ciò, poiché in preda all’alcool e in condizioni psico-fisiche per nulla ottimali ci si cimenta spesso in prove bizzarre, deliranti e pericolose che possono condurre anche a tragici epiloghi. Un esempio sono le nuotate in acque gelide, il fare skateboard in autostrada con le auto che sfrecciano o il più innocuo spogliarsi in un supermercato per poi svenire sopraffatti dall’alcool, prove che sono costate la vita già a decine di ragazzi in tutto il mondo. Questo bere fino a stordirsi ha segnato l’esistenza di molti giovani anche in Europa, se ne contano tre in Inghilterra e due in Irlanda solo nell’ultimo mese, come nel caso del giovane rugbista inglese Bradley Eames che dopo aver bevuto due bottiglie di gin ed aver esultato “così si beve” è morto a soli vent’anni. Il gioco ha preso vita su Facebook dall’ingegno, se così possiamo chiamarlo, di alcuni ragazzi australiani e ad oggi conta già 40mila adesioni. Ciò fa del social game un fenomeno dilagante che non risparmia i nostri ragazzi, soprattutto adolescenti tra i 13 e i 17 anni, tanto che qualche giorno fa un sedicenne agrigentino si è ridotto in coma etilico dopo aver ingurgitato oltre mezzo litro di birra. È ora fuori pericolo, come fanno sapere i medici dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, presso il quale il giovane è ricoverato, ma resta il fatto che la sua è la realtà di tanti che sconsideratamente fanno in modo che questo gioco continui a diffondersi. Il web sembra ormai pieno di dimostrazioni di questo genere, sono innumerevoli i filmati pubblicati sui più svariati social network che vedono protagonisti ragazzi di ogni età e ciò non può che allarmare sia gli esperti che la società in generale. Come spiega a Panorama.it la psicologa e psicoanalista Francesca Codignola, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e consulente presso il Centro di Consultazione e di Psicoterapia per adolescenti di Milano, “non è un problema di dipendenza alcolica o dalla rete”. Continua, poi, affermando che “questi comportamenti estremi esprimono un profondo bisogno di riconoscimento e di essere visti, i giovani sono alla ricerca di un attestato relativo alla loro identità, al loro valore e alla loro diversità rispetto agli adulti” e “in mancanza di risposte possono arrivare a morire pur di avere visibilità”. È, quindi, la ricerca spasmodica di visibilità e di complicità fra coetanei il perno attorno al quale ruota il fenomeno. Come sottolinea ancora la Dott.ssa Codignola, “questi gesti sono un estremo e inconsapevole tentativo di richiamo al mondo adulto affinché si occupi e si preoccupi dei propri giovani”, per questo “i genitori e gli insegnanti dovrebbero cominciare molto prima a considerare quello che dicono i ragazzi ed avere un autentico atteggiamento di ascolto alle loro paure, ai loro pensieri e progetti senza sottovalutarli cosicché il ragazzo si senta sostenuto nella costruzione della sua persona”. Detta in tali termini il social game diventa la sola punta dell’iceberg, di un sommerso molto più profondo che non deve essere sottovalutato; quindi il vietare severamente l’accesso ad internet non potrà essere considerato come soluzione al problema, anzi non farà altro che scatenare il fascino del proibito. Condividere gli interessi, il non essere autoritari, come il vedere i propri figli per ciò che sono e non per ciò che vorremmo che fossero può essere il solo supporto che possiamo dare, il principio della sola via di “guarigione” possibile. In conclusione, da una panoramica generale sul fenomeno sembra venir fuori un male di vivere che sta colpendo le fasce più giovani e che spinge a ricercare nell’assurdo l’emozione che manca alla quotidianità. In una società del tutto e subito, in un’era che si connota per l’abbondanza e la ricchezza di beni a disposizione di ogni singolo individuo, in corrispondenza spesso ad una mancata conquista di ciò che si possiede, l’evasione dalla normalità diventa la prerogativa della felicità. In questo modo, si vengono a combinare le difficoltà relazionali dei giovanissimi, la noia e il bisogno di essere notati e ascoltati che caratterizza la società odierna, connubio che non può che portare con sé spiacevoli conseguenze rendendo essenziale un tempestivo intervento di tutta la comunità adulta che, con l’obiettivo prossimo di fermare questo dilagante fenomeno, si ponga lo scopo finale di salvare il proprio futuro.
Pubblicato il 27 febbraio 2014
«Filmarsi mentre si beve un gran quantitativo d’alcool in breve tempo e pubblicare il video, ecco la nuova moda dei nostri ragazzi.»
di: Giusy di Filippo
Prende il nome dal “collo della bottiglia” il nuovo social game che sta spopolando tra i giovanissimi e che spaventa tanto gli adulti, il neknomination può a tutti gli effetti essere considerato una folle moda che, nata appena il 6 Gennaio scorso in Australia, sta velocemente prendendo piede tra i teenagers di tutto il mondo. Questo disperato gioco si basa su poche semplici regole che, anche se non palesemente imposte, risultano tacitamente condivise da un gran numero di adolescenti. Ricevere una nomina comporta il filmarsi mentre ci si “attacca alla bottiglia”, bevendo nel minor tempo possibile il maggior quantitativo di alcool, dopodiché si posta in internet il video della bravata e si nomina a propria volta un amico chiamato a mettere in atto una prova ancora più estrema. Per contro rifiutare una nomina comporta il disprezzo e l’umiliazione da parte dei propri amici e di conseguenza l’emarginazione dal gruppo, reazione che terrorizzerebbe qualsiasi adolescente. Risulta, quindi, palese come questo gioco si intrecci con tutta una serie di dinamiche relazionali proprie dei rapporti tra pari, che induce ad accettare sfide assurde e talvolta mortali al solo scopo di continuare ad essere apprezzati e considerati. A spaventare maggiormente, poi, sono le conseguenze di tutto ciò, poiché in preda all’alcool e in condizioni psico-fisiche per nulla ottimali ci si cimenta spesso in prove bizzarre, deliranti e pericolose che possono condurre anche a tragici epiloghi. Un esempio sono le nuotate in acque gelide, il fare skateboard in autostrada con le auto che sfrecciano o il più innocuo spogliarsi in un supermercato per poi svenire sopraffatti dall’alcool, prove che sono costate la vita già a decine di ragazzi in tutto il mondo. Questo bere fino a stordirsi ha segnato l’esistenza di molti giovani anche in Europa, se ne contano tre in Inghilterra e due in Irlanda solo nell’ultimo mese, come nel caso del giovane rugbista inglese Bradley Eames che dopo aver bevuto due bottiglie di gin ed aver esultato “così si beve” è morto a soli vent’anni. Il gioco ha preso vita su Facebook dall’ingegno, se così possiamo chiamarlo, di alcuni ragazzi australiani e ad oggi conta già 40mila adesioni. Ciò fa del social game un fenomeno dilagante che non risparmia i nostri ragazzi, soprattutto adolescenti tra i 13 e i 17 anni, tanto che qualche giorno fa un sedicenne agrigentino si è ridotto in coma etilico dopo aver ingurgitato oltre mezzo litro di birra. È ora fuori pericolo, come fanno sapere i medici dell’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, presso il quale il giovane è ricoverato, ma resta il fatto che la sua è la realtà di tanti che sconsideratamente fanno in modo che questo gioco continui a diffondersi. Il web sembra ormai pieno di dimostrazioni di questo genere, sono innumerevoli i filmati pubblicati sui più svariati social network che vedono protagonisti ragazzi di ogni età e ciò non può che allarmare sia gli esperti che la società in generale. Come spiega a Panorama.it la psicologa e psicoanalista Francesca Codignola, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e consulente presso il Centro di Consultazione e di Psicoterapia per adolescenti di Milano, “non è un problema di dipendenza alcolica o dalla rete”. Continua, poi, affermando che “questi comportamenti estremi esprimono un profondo bisogno di riconoscimento e di essere visti, i giovani sono alla ricerca di un attestato relativo alla loro identità, al loro valore e alla loro diversità rispetto agli adulti” e “in mancanza di risposte possono arrivare a morire pur di avere visibilità”. È, quindi, la ricerca spasmodica di visibilità e di complicità fra coetanei il perno attorno al quale ruota il fenomeno. Come sottolinea ancora la Dott.ssa Codignola, “questi gesti sono un estremo e inconsapevole tentativo di richiamo al mondo adulto affinché si occupi e si preoccupi dei propri giovani”, per questo “i genitori e gli insegnanti dovrebbero cominciare molto prima a considerare quello che dicono i ragazzi ed avere un autentico atteggiamento di ascolto alle loro paure, ai loro pensieri e progetti senza sottovalutarli cosicché il ragazzo si senta sostenuto nella costruzione della sua persona”. Detta in tali termini il social game diventa la sola punta dell’iceberg, di un sommerso molto più profondo che non deve essere sottovalutato; quindi il vietare severamente l’accesso ad internet non potrà essere considerato come soluzione al problema, anzi non farà altro che scatenare il fascino del proibito. Condividere gli interessi, il non essere autoritari, come il vedere i propri figli per ciò che sono e non per ciò che vorremmo che fossero può essere il solo supporto che possiamo dare, il principio della sola via di “guarigione” possibile. In conclusione, da una panoramica generale sul fenomeno sembra venir fuori un male di vivere che sta colpendo le fasce più giovani e che spinge a ricercare nell’assurdo l’emozione che manca alla quotidianità. In una società del tutto e subito, in un’era che si connota per l’abbondanza e la ricchezza di beni a disposizione di ogni singolo individuo, in corrispondenza spesso ad una mancata conquista di ciò che si possiede, l’evasione dalla normalità diventa la prerogativa della felicità. In questo modo, si vengono a combinare le difficoltà relazionali dei giovanissimi, la noia e il bisogno di essere notati e ascoltati che caratterizza la società odierna, connubio che non può che portare con sé spiacevoli conseguenze rendendo essenziale un tempestivo intervento di tutta la comunità adulta che, con l’obiettivo prossimo di fermare questo dilagante fenomeno, si ponga lo scopo finale di salvare il proprio futuro.
Pubblicato il 27 febbraio 2014