23 maggio. 29 anni fa la strage di Capaci.
23 Maggio 2021
di: Chiara Cacioppo
Oggi è il 29mo anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992, nella quale morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Le commemorazioni organizzate dalla Polizia di Stato si svolgeranno a Palermo alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del capo della Polizia, il prefetto Lamberto Giannini, a partire dalle 10.15 con la deposizione di una corona d'alloro nell'Ufficio scorte della caserma Lungaro, presso la lapide che ricorda i Caduti degli attentati di Capaci e via D'Amelio. Subito dopo avrà luogo la cerimonia di disvelamento della teca contenente i resti della Fiat Croma, ormai conosciuta come "Quarto Savona 15", dal nome della sigla radio attribuita agli uomini della scorta di Giovanni Falcone.
Quel 23 maggio 1992 fu l’inizio della stagione stragista di “Cosa nostra”. Primo da colpire il magistrato che assieme al collega e amico Paolo Borsellino, con “maxiprocesso” aveva individuato e fatto condannare i vertici della mafia siciliana. Un magistrato preparatissimo, che aveva ben capito la complessità e la vastità di “cosa nostra”. E come per contrastarla servisse un lavoro di squadra fatto in modo molto accurato. Lo dimostra un episodio inedito, relativo all’omicidio del giudice Rosario Livatino il 21 settembre 1990. Il giovane magistrato conosceva bene Falcone e Borsellino, avevano più volte collaborato, scambiandosi documenti e analisi. Così quel giorno entrambi si precipitarono ad Agrigento e Falcone addirittura collaborò, con preziosissimi consigli, all’interrogatorio di Pietro Nava, il coraggioso e fondamentale testimone dell’agguato a Livatino. Lo racconta Sebastiano Mignemi, allora neanche trentenne pm di Caltanissetta che insieme al collega Ottavio Sferlazza fu titolare della prima inchiesta sull’omicidio di Livatino. Oggi è presidente del Tribunale del riesame di Catania, e ha raccontato per la prima volta quell’importante episodio riportato nel libro “Rosario Livatino. Il giudice giusto” (Edizioni San Paolo) di Antonio Maria Mira
23 Maggio 2021
di: Chiara Cacioppo
Oggi è il 29mo anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992, nella quale morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Le commemorazioni organizzate dalla Polizia di Stato si svolgeranno a Palermo alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del capo della Polizia, il prefetto Lamberto Giannini, a partire dalle 10.15 con la deposizione di una corona d'alloro nell'Ufficio scorte della caserma Lungaro, presso la lapide che ricorda i Caduti degli attentati di Capaci e via D'Amelio. Subito dopo avrà luogo la cerimonia di disvelamento della teca contenente i resti della Fiat Croma, ormai conosciuta come "Quarto Savona 15", dal nome della sigla radio attribuita agli uomini della scorta di Giovanni Falcone.
Quel 23 maggio 1992 fu l’inizio della stagione stragista di “Cosa nostra”. Primo da colpire il magistrato che assieme al collega e amico Paolo Borsellino, con “maxiprocesso” aveva individuato e fatto condannare i vertici della mafia siciliana. Un magistrato preparatissimo, che aveva ben capito la complessità e la vastità di “cosa nostra”. E come per contrastarla servisse un lavoro di squadra fatto in modo molto accurato. Lo dimostra un episodio inedito, relativo all’omicidio del giudice Rosario Livatino il 21 settembre 1990. Il giovane magistrato conosceva bene Falcone e Borsellino, avevano più volte collaborato, scambiandosi documenti e analisi. Così quel giorno entrambi si precipitarono ad Agrigento e Falcone addirittura collaborò, con preziosissimi consigli, all’interrogatorio di Pietro Nava, il coraggioso e fondamentale testimone dell’agguato a Livatino. Lo racconta Sebastiano Mignemi, allora neanche trentenne pm di Caltanissetta che insieme al collega Ottavio Sferlazza fu titolare della prima inchiesta sull’omicidio di Livatino. Oggi è presidente del Tribunale del riesame di Catania, e ha raccontato per la prima volta quell’importante episodio riportato nel libro “Rosario Livatino. Il giudice giusto” (Edizioni San Paolo) di Antonio Maria Mira