RIFIUTI:
ABBANDONO,
DEPOSITO INCONTROLLATO
E DISCARICA ABUSIVA
di Giuseppe Neri (*) L’utilizzo dei termini abbandono, deposito incontrollato e discarica è spesso azzardato ed improprio, vengono utilizzati l’uno per l’altro, indiscriminatamente. I termini hanno significati diversi, alla luce della normativa ambientale e in special modo della normativa sui rifiuti e difesa del suolo. Facciamo pertanto chiarezza e mettiamo in risalto le maggiori differenze che vi sono, con i riflessi sugli adempimenti e le rispettive sanzioni. Il significato del termine “abbandono”, molto dibattuto sin dalle prime interpretazioni del Dlgs 22/97 c.d. “Decreto Ronchi”, parte dalla esatta nozione di “rifiuto” contenuta nell’art. 6 di detto decreto, dibattito non ancora concluso, anche a seguito della controversa “interpretazione autentica della definizione di rifiuto” data dal nostro legislatore con il D.L. 138 del 8 luglio 2002 convertito in legge 178/2002, nel quale all’art.14 detta le condizioni nelle quali un soggetto privato o giuridico “si disfa di un bene o di una sostanza. L’utilizzo del termine “disfarsi”, utilizzato dalla direttiva Europea 75/442/CEE, sostituito dal termine “abbandono” nel DPR 915/82 (attuazione della stessa direttiva comunitaria), ripreso dall’attuale Dlgs 22/97, alimenta la discussione in dottrina ed in giurisprudenza, con le più disparate e contrastanti sentenze nei diversi ordini e grado di giudizio.
OBBLIGHI DEL PRODUTTORE E DEPOSITO TEMPORANEO REGOLARE ED IRREGOLARE
Gli obblighi del produttore, sono dettati dall’art. 10 del Dlgs 22/97, ma le condizioni per il corretto deposito temporaneo effettuato all’interno dello stabilimento, ovvero, nel luogo stesso ove i rifiuti sono prodotti, sono dettate dall’art. 6: (Definizioni) lett. m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti alle seguenti condizioni:
1) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno bimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i 10 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 10 metri cubi nell’anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori;
2) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 20 metri cubi nell’anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori; in tale articolo il legislatore impone il rispetto di limiti temporali e quantitativi, distinguendoli per i rifiuti pericolosi e per i rifiuti non pericolosi; il mancato rispetto di tali disposizioni, comporta il seppur implicito riferimento all’art.28, infatti come indicato al comma 5, “ le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 6, comma 1, lettera m)”, conseguenza è che: si ha “deposito temporaneo” solo se rispettati i limiti di cui all’art.6, mancando i quali si è in presenza di un “deposito temporaneo irregolare”, equiparata alla gestione di rifiuti, con la conseguente necessaria autorizzazione ai sensi dell’art. 28 ed artt. 31 e 33 se i rifiuti sono destinati ad attività di recupero. Troviamo conferma nel sistema sanzionatorio (art.51 comma 2) in cui il deposito temporaneo “incontrollato”, viene equiparato alla attività di “gestione” dei rifiuti, abbandonati in violazione dell’art.14 commi 1 e 2, con la conseguente applicazione delle sanzioni amministrative e penali; infatti il comma 2 dell’art. 51 rimanda all’applicazione delle “pene di cui al comma 1 … per i titolari di imprese … che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art.14 commi 1 e 2. Il comma 1 dell’art. 51 sanziona la “gestione” dei rifiuti effettuata in mancanza delle prescritte autorizzazioni, è evidente pertanto che vi è una “implicita” equiparazione del deposito temporaneo incontrollato alla vera e propria gestione non autorizzata dei rifiuti. Si sottolinea che la situazione sopra delineata resta applicabile solo ai titolari di imprese o ai responsabili di enti.
L’ABBANDONO DEI RIFIUTI
Diverso è l’abbandono di rifiuti, vietato dall’art.14 dello stesso Decreto e nel quale ci si trova ogni qual volta vengono rinvenuti accumuli di rifiuti in aree pubbliche o private costituiti da beni, oggetti che sono in un evidente “stato di abbandono”, ovvero lasciati con incuria ed al degrado; si tratta spesso di beni di uso domestico o di altra provenienza urbana, ma a volte anche di rifiuti speciali (eternit) provenienti da lavorazioni artigianali o industriali, con un elevato tasso di inquinamento, come nel caso di fanghi o rifiuti pericolosi liquidi, con una facile assimilazione da parte del terreno e relativo inquinamento delle falde acquifere. Resta però da sottolineare l’elemento “dell’occasionalità” dell’evento: perché si possa restare nella fattispecie di “abbandono” e non di “discarica” è necessario che l’abbandono sia occasionale, non ripetuto sistematicamente al fine di generare un deposito permanente, definitivo e incontrollato, ovvero una discarica con il conseguente degrado e inquinamento dell’ambiente. L’abbandono è sanzionato, invece, dall’art. 50. La sanzione applicata è di tipo amministrativo (non anche penale come per le imprese ed enti ); viene utilizzato il termine “chiunque in violazione … dell’art. 14”, lasciando liberamente interpretare ad una generale applicazione, ma il successivo art. 51 indirizzato solo a titolari di imprese e responsabili di enti, lascia intendere chiaramente che le sanzioni di cui all’art. 50 sono rivolte solo ed esclusivamente a persone fisiche. Vi è sanzione più lieve per l’abbandono sul suolo di rifiuti non pericolosi e non ingombranti, escludendo implicitamente da tale “agevolazione” l’immissione in acque superficiali o sotterranee, forse ritenuto dal legislatore più a rischio ambientale. Infatti la sanzione applicata per l’immissione di rifiuti quali essi siano, pericolosi e non, compresi gli ingombranti nelle acque superficiali o sotterranee, da parte di persone fisiche va da 103 a 619 euro, più “pesante” rispetto alla sanzione da 25 a 154 euro applicata per l’abbandono sul suolo. Come confermato dalla Suprema Corte si configura l’abbandono di rifiuti solo nel caso di assoluta occasionalità, non dovrà esserci ripetitività o abitualità nell’evento, anche se trattasi di rifiuti propri. Inoltre, la temporaneità del deposito si ha, dimostrando il rispetto dei “limiti temporali” (3 mesi al massimo 1 anno per rifiuti non pericolosi). Nella sentenza sopra citata la fattispecie di una mancata occasionalità e ripetitività dell’abbandono, riferita ad una persona fisica, si configurerebbe comunque nella sanzione penale di cui all’art. 51 comma 1 del Dlgs 22/97, trattandosi di una vera e propria gestione illecita di rifiuti propri, con atti continui di abbandono e depositi incontrollati. Infatti, in tale sentenza, l’abbandono compiuto da soggetto non avente le qualità (titolare di impresa e responsabile di ente) resterebbe punito con sanzione amministrativa solo quando viene realizzato in modo del tutto occasionale, non ripetitivo; al contrario si configurerebbe una attività di gestione dei rifiuti abusiva, come lo smaltimento, sanzionato penalmente dall’art. 51 al comma 1, in quanto, è applicabile a “chiunque effettui una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione , iscrizione o comunicazione. Si ricorda infatti che l’art. 6 definisce smaltimento: le operazioni effettuate su: area adibita a smaltimento di rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.
LA SOLIDALE RESPONSABILITÀ DEL PROPRIETARIO DEL SITO
Chiunque violi i divieti di discarica o abbandono abusivi, è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme. Il proprietario del terreno nel quale sono stati abbandonati i rifiuti, che non è anche produttore degli stessi, non potrà rispondere dell’abbandono, fin quando non venga riconosciuto ad esso un comportamento colposo o doloso. Non sussiste una responsabilità oggettiva del proprietario, detentore, o del titolare di un diritto reale sul fondo stesso, non esiste cioè un soggetto tenuto comunque in virtù del suo rapporto giuridico con il fondo, a quella che impropriamente possiamo definire “bonifica” del sito. Accertato l’autore dell’illecito, ed eventuale corresponsabile, il sindaco emette ordinanza per provata urgenza ambientale e di igiene e sanità pubblica, per la rimozione dei rifiuti e ripristino dei luoghi. Nel caso in cui, non venga accertato l’autore dell’illecito e non si è in grado di provare la colpa o dolo del proprietario del terreno, il sindaco ordina la rimozione e ripristino dei luoghi, assumendosene gli oneri, salvo futura rivalsa nei confronti dei colpevoli. Anche la giurisprudenza amministrativa si è espressa in merito, stabilendo che, “l’ordine sindacale d’urgenza per motivi di igiene, sanitari ed ambientali di smaltimento dei rifiuti, va impartito in linea di massima al produttore dei rifiuti che li abbandona in aree pubbliche o private (anche non aperte al pubblico), o in acque pubbliche o private, e non al proprietario dell’area, salvo che non sia configurabile una compartecipazione del proprietario anche soltanto colposa per mancata vigilanza”. Non può imporsi al privato, individuato solo come proprietario dell’area senza essere responsabile dell’abbandono dei rifiuti, lo svolgimento di attività di sgombero. Il sindaco può ordinare al proprietario dell’area, anche mediante l’emanazione di una ordinanza tipica in materia di rifiuti e a prescindere dalla sussistenza di alcuna responsabilità dello stesso, di provvedere allo smaltimento qualora ciò sia necessario per fronteggiare una situazione di urgenza. Il proprietario potrà però chiedere il rimborso delle spese sostenute. Pertanto, si sancisce il principio in base al quale è sempre possibile ordinare al proprietario, anche privo di responsabilità , di provvedere allo smaltimento dei rifiuti qualora sussistano le condizioni di necessità e urgenza. Il proprietario è infatti, secondo il Consiglio di Stato, il soggetto che si trova nella situazione più idonea a garantire che gli interventi ritenuti necessari siano realizzati tempestivamente. Il proprietario di un’area che, venuto a conoscenza del fatto che questa veniva utilizzata come discarica (peraltro abusiva), rimane inerte nonostante il suo impegno nei confronti della pubblica amministrazione a provvedere allo smaltimento dei rifiuti, concorre con la sua negligenza all’aggravio della situazione, e quindi deve ritenersi corresponsabile, almeno a titolo di colpa, del deposito incontrollato di rifiuti. Il legislatore ha ritenuto di coinvolgere nella responsabilità e quindi nell’obbligo di smaltire i rifiuti, illegittimamente abbandonati da terzi, il proprietario dell’area, il quale seppur privo di una responsabilità diretta,con il suo comportamento successivo contribuisce ad aggravare la situazione. In linea di principio si può affermare che se non sussiste la prova del dolo o della colpa, il proprietario dell’area non può rispondere di un reato disciplinato dal sistema sanzionatorio. L’organo di vigilanza deve prima provare il dolo o la colpa del proprietario dell’area ove è avvenuto l’abbandono dei rifiuti e poi procedere alla denuncia ed irrogazione della sanzione amministrativa. Successivamente deve informare il sindaco competente per territorio per la successiva eventuale diffida – ordinanza di rimozione dei rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi (non alla bonifica). All’abbandono non si applica il regime sanzionatorio sulle bonifiche, ma quello relativo alle discariche occasionali e non continuative.
LA DISCARICA ABUSIVA
Il deposito incontrollato e l’abbandono indiscriminato dei rifiuti ripetuto ed organizzato, sfociano in un’altra fattispecie di reato, quella di discarica abusiva, ovvero, senza prescritta autorizzazione. Con la nuova definizione di discarica dettata dal Dlgs 36/2003 recante “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” si apre una nuova querelle nel campo normativo sanzionatorio in vigore. Si è in presenza di una discarica quando si adibisce un’area allo smaltimento di rifiuti (deposito sul suolo o nel suolo), nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Non rientrano ovviamente in tale categoria, gli impianti in cui i rifiuti sono stoccati temporaneamente (periodo inferiore a tre anni) per poi essere destinati ad operazione di recupero, trattamento o smaltimento, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno. Per quanto riguarda la nuova nozione di discarica (integrata dal limite temporale di un anno), sono state emesse le prime sentenze che stabiliscono che: perché si possa configurare il “deposito temporaneo”, è necessario che “le fasi dello scarico e successivo prelievo per il trasporto altrove non siano intervallate da lunghi periodi di tempo in cui i rifiuti restino abbandonati sul suolo, con evidente pericolo di inquinamento del terreno sottostante”. Perché si possa configurare il reato di discarica abusiva è comunque necessario che sussistano diversi presupposti. Tra i principali permane l’intenzione del proprietario del sito e produttore dei rifiuti. Il tutto quindi rimane ancora legato alla esatta nozione di rifiuto che stenta ad arrivare, considerato anche il fatto che la nozione di rifiuto tutta italiana è stata contestata dalla Commissione Europea ed inviata alla Corte di Giustizia UE con le osservazioni dell’Avvocato Generale dell’UE che condannano la Legge 178/2002 per conflitto con la direttiva 75/442 CEE sui rifiuti. Caratteristica principale di una discarica abusiva è la permanenza dei rifiuti in tale luogo, che organizzato o meno per riceverli, viene utilizzato per continui scarichi, anche intervallati nel tempo, di rifiuti di diversa natura o provenienza; l’azione ripetuta nel tempo dello scaricare in tale luogo i rifiuti, senza provvedere ad una successiva lecita destinazione ad operazioni di smaltimento o di recupero, fa venir meno l’applicazione delle disposizioni agevolative riservate ai depositi temporanei nei luoghi di produzione. Lo scarico occasionale non può essere considerato realizzazione di discarica abusiva, pertanto ad esso rimane applicato l’art. 50 del sistema sanzionatorio. La sanzione applicata per il reato di discarica abusiva è disciplinata dall’art. 51 del Dlgs 22/97, il responsabile è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.582 euro a 25.822 euro. E’prevista una pena più severa per la discarica abusiva di rifiuti pericolosi: reclusione da uno a tre anni e l’ammenda da 5.164 euro a 51.645 euro, nonchè la confisca dell’area, con l’obbligo di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi.
(*) Responsabile Area Tecnica Comune di Montevago (AG)
Pubblicato il 18.03.2015
ABBANDONO,
DEPOSITO INCONTROLLATO
E DISCARICA ABUSIVA
di Giuseppe Neri (*) L’utilizzo dei termini abbandono, deposito incontrollato e discarica è spesso azzardato ed improprio, vengono utilizzati l’uno per l’altro, indiscriminatamente. I termini hanno significati diversi, alla luce della normativa ambientale e in special modo della normativa sui rifiuti e difesa del suolo. Facciamo pertanto chiarezza e mettiamo in risalto le maggiori differenze che vi sono, con i riflessi sugli adempimenti e le rispettive sanzioni. Il significato del termine “abbandono”, molto dibattuto sin dalle prime interpretazioni del Dlgs 22/97 c.d. “Decreto Ronchi”, parte dalla esatta nozione di “rifiuto” contenuta nell’art. 6 di detto decreto, dibattito non ancora concluso, anche a seguito della controversa “interpretazione autentica della definizione di rifiuto” data dal nostro legislatore con il D.L. 138 del 8 luglio 2002 convertito in legge 178/2002, nel quale all’art.14 detta le condizioni nelle quali un soggetto privato o giuridico “si disfa di un bene o di una sostanza. L’utilizzo del termine “disfarsi”, utilizzato dalla direttiva Europea 75/442/CEE, sostituito dal termine “abbandono” nel DPR 915/82 (attuazione della stessa direttiva comunitaria), ripreso dall’attuale Dlgs 22/97, alimenta la discussione in dottrina ed in giurisprudenza, con le più disparate e contrastanti sentenze nei diversi ordini e grado di giudizio.
OBBLIGHI DEL PRODUTTORE E DEPOSITO TEMPORANEO REGOLARE ED IRREGOLARE
Gli obblighi del produttore, sono dettati dall’art. 10 del Dlgs 22/97, ma le condizioni per il corretto deposito temporaneo effettuato all’interno dello stabilimento, ovvero, nel luogo stesso ove i rifiuti sono prodotti, sono dettate dall’art. 6: (Definizioni) lett. m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti alle seguenti condizioni:
1) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno bimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i 10 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 10 metri cubi nell’anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori;
2) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 20 metri cubi nell’anno o se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori; in tale articolo il legislatore impone il rispetto di limiti temporali e quantitativi, distinguendoli per i rifiuti pericolosi e per i rifiuti non pericolosi; il mancato rispetto di tali disposizioni, comporta il seppur implicito riferimento all’art.28, infatti come indicato al comma 5, “ le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 6, comma 1, lettera m)”, conseguenza è che: si ha “deposito temporaneo” solo se rispettati i limiti di cui all’art.6, mancando i quali si è in presenza di un “deposito temporaneo irregolare”, equiparata alla gestione di rifiuti, con la conseguente necessaria autorizzazione ai sensi dell’art. 28 ed artt. 31 e 33 se i rifiuti sono destinati ad attività di recupero. Troviamo conferma nel sistema sanzionatorio (art.51 comma 2) in cui il deposito temporaneo “incontrollato”, viene equiparato alla attività di “gestione” dei rifiuti, abbandonati in violazione dell’art.14 commi 1 e 2, con la conseguente applicazione delle sanzioni amministrative e penali; infatti il comma 2 dell’art. 51 rimanda all’applicazione delle “pene di cui al comma 1 … per i titolari di imprese … che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’art.14 commi 1 e 2. Il comma 1 dell’art. 51 sanziona la “gestione” dei rifiuti effettuata in mancanza delle prescritte autorizzazioni, è evidente pertanto che vi è una “implicita” equiparazione del deposito temporaneo incontrollato alla vera e propria gestione non autorizzata dei rifiuti. Si sottolinea che la situazione sopra delineata resta applicabile solo ai titolari di imprese o ai responsabili di enti.
L’ABBANDONO DEI RIFIUTI
Diverso è l’abbandono di rifiuti, vietato dall’art.14 dello stesso Decreto e nel quale ci si trova ogni qual volta vengono rinvenuti accumuli di rifiuti in aree pubbliche o private costituiti da beni, oggetti che sono in un evidente “stato di abbandono”, ovvero lasciati con incuria ed al degrado; si tratta spesso di beni di uso domestico o di altra provenienza urbana, ma a volte anche di rifiuti speciali (eternit) provenienti da lavorazioni artigianali o industriali, con un elevato tasso di inquinamento, come nel caso di fanghi o rifiuti pericolosi liquidi, con una facile assimilazione da parte del terreno e relativo inquinamento delle falde acquifere. Resta però da sottolineare l’elemento “dell’occasionalità” dell’evento: perché si possa restare nella fattispecie di “abbandono” e non di “discarica” è necessario che l’abbandono sia occasionale, non ripetuto sistematicamente al fine di generare un deposito permanente, definitivo e incontrollato, ovvero una discarica con il conseguente degrado e inquinamento dell’ambiente. L’abbandono è sanzionato, invece, dall’art. 50. La sanzione applicata è di tipo amministrativo (non anche penale come per le imprese ed enti ); viene utilizzato il termine “chiunque in violazione … dell’art. 14”, lasciando liberamente interpretare ad una generale applicazione, ma il successivo art. 51 indirizzato solo a titolari di imprese e responsabili di enti, lascia intendere chiaramente che le sanzioni di cui all’art. 50 sono rivolte solo ed esclusivamente a persone fisiche. Vi è sanzione più lieve per l’abbandono sul suolo di rifiuti non pericolosi e non ingombranti, escludendo implicitamente da tale “agevolazione” l’immissione in acque superficiali o sotterranee, forse ritenuto dal legislatore più a rischio ambientale. Infatti la sanzione applicata per l’immissione di rifiuti quali essi siano, pericolosi e non, compresi gli ingombranti nelle acque superficiali o sotterranee, da parte di persone fisiche va da 103 a 619 euro, più “pesante” rispetto alla sanzione da 25 a 154 euro applicata per l’abbandono sul suolo. Come confermato dalla Suprema Corte si configura l’abbandono di rifiuti solo nel caso di assoluta occasionalità, non dovrà esserci ripetitività o abitualità nell’evento, anche se trattasi di rifiuti propri. Inoltre, la temporaneità del deposito si ha, dimostrando il rispetto dei “limiti temporali” (3 mesi al massimo 1 anno per rifiuti non pericolosi). Nella sentenza sopra citata la fattispecie di una mancata occasionalità e ripetitività dell’abbandono, riferita ad una persona fisica, si configurerebbe comunque nella sanzione penale di cui all’art. 51 comma 1 del Dlgs 22/97, trattandosi di una vera e propria gestione illecita di rifiuti propri, con atti continui di abbandono e depositi incontrollati. Infatti, in tale sentenza, l’abbandono compiuto da soggetto non avente le qualità (titolare di impresa e responsabile di ente) resterebbe punito con sanzione amministrativa solo quando viene realizzato in modo del tutto occasionale, non ripetitivo; al contrario si configurerebbe una attività di gestione dei rifiuti abusiva, come lo smaltimento, sanzionato penalmente dall’art. 51 al comma 1, in quanto, è applicabile a “chiunque effettui una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione , iscrizione o comunicazione. Si ricorda infatti che l’art. 6 definisce smaltimento: le operazioni effettuate su: area adibita a smaltimento di rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.
LA SOLIDALE RESPONSABILITÀ DEL PROPRIETARIO DEL SITO
Chiunque violi i divieti di discarica o abbandono abusivi, è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme. Il proprietario del terreno nel quale sono stati abbandonati i rifiuti, che non è anche produttore degli stessi, non potrà rispondere dell’abbandono, fin quando non venga riconosciuto ad esso un comportamento colposo o doloso. Non sussiste una responsabilità oggettiva del proprietario, detentore, o del titolare di un diritto reale sul fondo stesso, non esiste cioè un soggetto tenuto comunque in virtù del suo rapporto giuridico con il fondo, a quella che impropriamente possiamo definire “bonifica” del sito. Accertato l’autore dell’illecito, ed eventuale corresponsabile, il sindaco emette ordinanza per provata urgenza ambientale e di igiene e sanità pubblica, per la rimozione dei rifiuti e ripristino dei luoghi. Nel caso in cui, non venga accertato l’autore dell’illecito e non si è in grado di provare la colpa o dolo del proprietario del terreno, il sindaco ordina la rimozione e ripristino dei luoghi, assumendosene gli oneri, salvo futura rivalsa nei confronti dei colpevoli. Anche la giurisprudenza amministrativa si è espressa in merito, stabilendo che, “l’ordine sindacale d’urgenza per motivi di igiene, sanitari ed ambientali di smaltimento dei rifiuti, va impartito in linea di massima al produttore dei rifiuti che li abbandona in aree pubbliche o private (anche non aperte al pubblico), o in acque pubbliche o private, e non al proprietario dell’area, salvo che non sia configurabile una compartecipazione del proprietario anche soltanto colposa per mancata vigilanza”. Non può imporsi al privato, individuato solo come proprietario dell’area senza essere responsabile dell’abbandono dei rifiuti, lo svolgimento di attività di sgombero. Il sindaco può ordinare al proprietario dell’area, anche mediante l’emanazione di una ordinanza tipica in materia di rifiuti e a prescindere dalla sussistenza di alcuna responsabilità dello stesso, di provvedere allo smaltimento qualora ciò sia necessario per fronteggiare una situazione di urgenza. Il proprietario potrà però chiedere il rimborso delle spese sostenute. Pertanto, si sancisce il principio in base al quale è sempre possibile ordinare al proprietario, anche privo di responsabilità , di provvedere allo smaltimento dei rifiuti qualora sussistano le condizioni di necessità e urgenza. Il proprietario è infatti, secondo il Consiglio di Stato, il soggetto che si trova nella situazione più idonea a garantire che gli interventi ritenuti necessari siano realizzati tempestivamente. Il proprietario di un’area che, venuto a conoscenza del fatto che questa veniva utilizzata come discarica (peraltro abusiva), rimane inerte nonostante il suo impegno nei confronti della pubblica amministrazione a provvedere allo smaltimento dei rifiuti, concorre con la sua negligenza all’aggravio della situazione, e quindi deve ritenersi corresponsabile, almeno a titolo di colpa, del deposito incontrollato di rifiuti. Il legislatore ha ritenuto di coinvolgere nella responsabilità e quindi nell’obbligo di smaltire i rifiuti, illegittimamente abbandonati da terzi, il proprietario dell’area, il quale seppur privo di una responsabilità diretta,con il suo comportamento successivo contribuisce ad aggravare la situazione. In linea di principio si può affermare che se non sussiste la prova del dolo o della colpa, il proprietario dell’area non può rispondere di un reato disciplinato dal sistema sanzionatorio. L’organo di vigilanza deve prima provare il dolo o la colpa del proprietario dell’area ove è avvenuto l’abbandono dei rifiuti e poi procedere alla denuncia ed irrogazione della sanzione amministrativa. Successivamente deve informare il sindaco competente per territorio per la successiva eventuale diffida – ordinanza di rimozione dei rifiuti e ripristino dello stato dei luoghi (non alla bonifica). All’abbandono non si applica il regime sanzionatorio sulle bonifiche, ma quello relativo alle discariche occasionali e non continuative.
LA DISCARICA ABUSIVA
Il deposito incontrollato e l’abbandono indiscriminato dei rifiuti ripetuto ed organizzato, sfociano in un’altra fattispecie di reato, quella di discarica abusiva, ovvero, senza prescritta autorizzazione. Con la nuova definizione di discarica dettata dal Dlgs 36/2003 recante “Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti” si apre una nuova querelle nel campo normativo sanzionatorio in vigore. Si è in presenza di una discarica quando si adibisce un’area allo smaltimento di rifiuti (deposito sul suolo o nel suolo), nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Non rientrano ovviamente in tale categoria, gli impianti in cui i rifiuti sono stoccati temporaneamente (periodo inferiore a tre anni) per poi essere destinati ad operazione di recupero, trattamento o smaltimento, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno. Per quanto riguarda la nuova nozione di discarica (integrata dal limite temporale di un anno), sono state emesse le prime sentenze che stabiliscono che: perché si possa configurare il “deposito temporaneo”, è necessario che “le fasi dello scarico e successivo prelievo per il trasporto altrove non siano intervallate da lunghi periodi di tempo in cui i rifiuti restino abbandonati sul suolo, con evidente pericolo di inquinamento del terreno sottostante”. Perché si possa configurare il reato di discarica abusiva è comunque necessario che sussistano diversi presupposti. Tra i principali permane l’intenzione del proprietario del sito e produttore dei rifiuti. Il tutto quindi rimane ancora legato alla esatta nozione di rifiuto che stenta ad arrivare, considerato anche il fatto che la nozione di rifiuto tutta italiana è stata contestata dalla Commissione Europea ed inviata alla Corte di Giustizia UE con le osservazioni dell’Avvocato Generale dell’UE che condannano la Legge 178/2002 per conflitto con la direttiva 75/442 CEE sui rifiuti. Caratteristica principale di una discarica abusiva è la permanenza dei rifiuti in tale luogo, che organizzato o meno per riceverli, viene utilizzato per continui scarichi, anche intervallati nel tempo, di rifiuti di diversa natura o provenienza; l’azione ripetuta nel tempo dello scaricare in tale luogo i rifiuti, senza provvedere ad una successiva lecita destinazione ad operazioni di smaltimento o di recupero, fa venir meno l’applicazione delle disposizioni agevolative riservate ai depositi temporanei nei luoghi di produzione. Lo scarico occasionale non può essere considerato realizzazione di discarica abusiva, pertanto ad esso rimane applicato l’art. 50 del sistema sanzionatorio. La sanzione applicata per il reato di discarica abusiva è disciplinata dall’art. 51 del Dlgs 22/97, il responsabile è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da 2.582 euro a 25.822 euro. E’prevista una pena più severa per la discarica abusiva di rifiuti pericolosi: reclusione da uno a tre anni e l’ammenda da 5.164 euro a 51.645 euro, nonchè la confisca dell’area, con l’obbligo di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi.
(*) Responsabile Area Tecnica Comune di Montevago (AG)
Pubblicato il 18.03.2015